La mostra "Abramo, la nascita dell'io"<br> in Santa Maria della Piazza, Ancona.

«Anche noi, chiamati come Abramo»

La mostra del Meeting, il video "Riconoscere Cristo" e l'incontro sui carcerati di Padova. Tra l'entusiasmo dei bambini e le visite in lingua per i turisti, il racconto dei tre appuntamenti nel capoluogo marchigiano. E di quello che hanno generato

Quando, al termine della presentazione de La bellezza disarmata di febbraio, abbiamo invitato il sindaco di Ancona, Valeria Mancinelli, alla mostra su Abramo che avevamo in programma di fare a maggio, lei ci ha chiesto stupita: «Abramo? Quale Abramo? quell'Abramo?». La domanda, sgorgata così sinceramente, ci ha mosso ad accettare davvero la sfida: si può attrarre la città ad una mostra su Abramo? Può il metodo di Dio essere pertinente oggi? Il nostro appuntamento annuale con la mostra allestita nella bella chiesa romanica di Santa Maria della Piazza, al centro di Ancona, è divenuto una presenza attesa e un’occasione missionaria.

Quest'anno, di ritorno dal Meeting, eravamo tutti d’accordo nel proporre "Abramo, la nascita dell'io", perché sentivamo la corrispondenza al bisogno di oggi. Eppure la sfida posta dal sindaco richiedeva un lavoro serio e una verifica. Un dialogo via skype con don Ignacio Carbajosa, curatore della mostra a Rimini, ci ha fornito i tratti essenziali del percorso e ha risposto alle nostre domande. È iniziato così un coinvolgimento di popolo: adulti, giovani e meno giovani, ragazzi delle superiori e anche i più piccoli, delle medie e delle elementari. Ciascuno si è mosso dando il suo contributo creativo. A partire dall'allestimento di una tenda delle tribù nomadi all’interno della chiesa, dentro cui veniva proiettato il video del professor Buccellati, l’altro curatore.

Alla presentazione, il sindaco ci ha rivolto un saluto con queste parole: «Sono curiosa di ascoltare la presentazione e tutto quello che c'è dietro». E così, Carmine Di Martino, professore di Filosofia teoretica a Milano, che teneva l’incontro, ci ha condotti per mano a cogliere il momento in cui l’io è emerso nella storia. E il perché. Nelle prime file c'era una signora incontrata alla mostra, che ci ha confidato la sua inquietudine e le domande che le erano nate dopo un viaggio in Terra Santa, in cui aveva accompagnato la madre. Si era portata dietro blocchetto e penna e ha preso appunti per tutto il tempo.

Chiunque abbia fatto la guida alla mostra, ma anche semplicemente chi ha dato la disponibilità per aprire la chiesa, ha incontri e fatti da raccontare. Una giornalista al termine del giro esclama: «Ma io non immaginavo che questo fosse il metodo di Dio!». Uno scrittore, arrabbiato per quello che sta succedendo nel mondo, rimane in silenzio davanti al rapporto di Abramo con il Dio vivente, «perché questo introduce un dialogo». È la stessa cosa che ha visto in atto nella malattia di un nostro amico, morto un anno fa, vissuta con letizia e abbandono. Un gruppo di imprenditori, attentissimi davanti alla frammentazione dell'Assoluto e alla funzionalizzazione della persona nel mondo mesopotamico, alla fine hanno ringraziato stupiti perché «per far funzionare l'impresa non bastano le strategie». Vengono improvvisate anche visite in francese e inglese per i turisti sbarcati al porto, curiosi di trovare gente che è lì gratuitamente per comunicare qualcosa di speciale che è accaduto e riaccade. Sessanta bambini, tra prima elementare e scuola materna, sono rimasti calamitati dal racconto di Abramo e la loro maestra alla fine ha voluto comprare la guida.

Alcuni ragazzi delle superiori hanno scelto dei brani, presi dalla Genesi, da Dante, Foscolo, Manzoni, Peguy e Pavese, e preparato un percorso di letture e musica dal vivo. Tre signore, una maestra in pensione e due amiche che aveva portato, dopo averli ascoltati, hanno voluto che le spiegassero la mostra. «Ma dove è possibile trovare una bellezza così!», ha esclamato una di loro e, rivolgendosi alle altre: «Ho girato ovunque ma non ho mai sentito dei ragazzi leggere e cantare così, con quella bellezza. O dei bambini stare a una mostra in questo modo...». E ha concluso: «Allora anche io, alla mia età, così come sono, sono importante! Sono chiamata anche io come Abramo!». E si è commossa.

Anche la proiezione del video Riconoscere Cristo ha visto la presenza di tante persone incontrate alla mostra o invitate attraverso amici o volantinaggio. Le persone che avevano letto sulla vita di don Giussani erano lì con il desiderio di conoscerlo e sentirlo parlare. Una platea silenziosissima e attenta ha seguito commossa le sue parole. Quando ci siamo alzati, uno ha sussurrato: «Niente è più come prima!». E il giorno dopo arriva una mail di ringraziamento: «Grazie di nuovo per domenica pomeriggio. È stata un'esperienza culturale e anche spirituale (il mio razionalismo insopprimibile sta forse scricchiolando) che non può non far riflettere».

Un’altra verifica della pertinenza del metodo di Dio oggi è emersa dall'incontro "È possibile vivere il carcere come occasione di cambiamento?". Si inizia con un breve video che ci affaccia al dramma della vita di quattro uomini reclusi a Padova per reati gravi. «La cosa più difficile è perdonare se stessi», dice un ergastolano, raccontando cosa accade quando entra un fatto, un incontro. Si ritrova il gusto della vita, ci si innamora del lavoro, ci si sente utili per i propri figli. Mentre Maria Rosaria Parruti, magistrato di sorveglianza, ci spiega con rigore e passione la bellezza della nostra costituzione, facendoci cogliere nell'intento della legge il valore della persona che ha bisogno di essere rieducata. Ma cosa può consentire di risvegliare costantemente il punto infiammato presente in ogni persona, anche quella persona che ha compiuto colpe gravi? Ce lo testimonia Giancarla: ha perso il figlio di 23 anni, Martino, e ora va in carcere a trovare un suo amico. Questi aveva mandato la mamma a pregare sulla tomba di Martino, perché si era sempre sentito voluto bene, ora attraverso lo sguardo di Giancarla ha ritrovato chi lo cerca e lo abbraccia.

«Sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia» dice papa Benedetto XVI nell’ intervista che ha rilasciato a Jacques Servais. In queste giornate l'occasione della mostra su Abramo ci ha fatto toccare con mano attraverso lo sguardo, le facce, le parole delle tante persone raggiunte quanto siano vere queste parole. Con stupore e gratitudine abbiamo visto in atto l'esperienza concreta della Misericordia in noi e in chi ci ha incontrato: «Una mano che ti rialza, un abbraccio che ti salva, ti perdona, ti risolleva, ti inonda di un amore infinito, paziente, indulgente; ti rimette in carreggiata».

Chi poteva immaginare una tale sovrabbondanza da «quell'Abramo?».

Carla, Ancona