«La Chiesa siamo noi con te, stasera»

Davide invita l'amico Riccardo ad andare a trovare dei ragazzi in una comunità minorile. Prima del ritorno a casa il dialogo inaspettato con una di loro, Giulia, che non li faceva più andare via. Il racconto di cosa è successo

Lunedì scorso ho fatto visita ad alcuni ragazzi di età compresa tra gli undici e i diciassette anni che vivono in comunità, un luogo dove sono stati mandati dal giudice o dagli assistenti sociali a causa di situazioni familiari difficili. È un anno che regolarmente vado da loro e quella sera sono riuscito a portare con me un mio compagno di università, Riccardo. Mentre eravamo in macchina, stanco e con mille domande per la testa, mi ha impressionato come, già in quel momento, lo Spirito abbia agito. Perché ad un certo punto ho subito domandato a Gesù che Lui riaccadesse, dove stavamo andando. Non potevo desiderare niente di meno che Lui fosse presente anche in quella circostanza. Così, ho detto a Riccardo di guardare in faccia i ragazzi che avremmo incontrato, semplicemente. Nient'altro.

Dopo le presentazioni e la cena ci siamo messi a giocare tutti insieme: prima a calciobalilla, poi a palla prigioniera. E questo è stato un primo piccolo miracolo dato che solitamente ognuno si inventa le regole pur di vincere e si finisce sempre a litigare. Mentre stavamo giocando, però, mi sono accorto ancora una volta di come questi ragazzi si trattassero tra di loro, con insulti e calci, e il mio cuore si è riempito di una tenerezza infinita nei loro confronti. Come si fa, di fronte a loro, che non hanno mai sperimentato un bene sincero e vero alla loro vita, a non guardarli con questa immensa tenerezza? Io su di me un amore infinito l'ho sperimentato tante volte. E il desiderio che mi nasceva era che potessero sperimentarlo anche loro. A un certo punto, mi sono fermato in silenzio e ho pensato: «Che ne sarà di loro?».

Una ragazza di nome Giulia si avvicina a Riccardo e inizia a raccontargli della sua vita, del lavoro al canile e del fatto che ama i cani così tanto perché nella sua vita sono stati gli unici ad avere avuto verso di lei un "sincero" e "immediato" affetto. E lui, di rimando, gli ha raccontato della sua vita, di quando ci siamo incontrati tanti anni fa al liceo, dall'altra parte del mondo durante una vacanza studio a New York, e dell'incontro che giorni prima avevamo fatto con Alejandra, una ragazza spagnola malata di tumore, e di quel suo sguardo di amore infinito e gratuito. Poi le ha proposto gli fargliela conoscere. Giulia era colpitissima che potesse esistere una persona così. Quasi non ci credeva. A fine della serata, prima che i ragazzi andassero a letto, ci siamo fermati a fumare una sigaretta con lei. Ci ha raccontato che stava in comunità ormai da tre anni e che per i primi tre mesi veniva maltrattata e insultata dagli altri ragazzi. Ogni sera si ritrovava sola a piangere. Ci ha detto anche di come avesse lasciato la Chiesa per vari motivi, soprattutto dopo un litigio con un prete. Riccardo allora le ha detto: «Ti sfido. Magari ora non capisci, ma è talmente vera per l’esperienza che sto facendo che non posso non farlo: la Chiesa non è solo l’immagine che tu hai in mente, e non è nemmeno solo quel litigio. Ma la Chiesa siamo io e lui, qui con te stasera». Lei è rimasta sorpresa e le sono nate, così, mille domande: abbiamo parlato di tutto anche dell’innamoramento, tema che le stava molto a cuore, e ad un certo punto lei si è fermata e ci ha ringraziato. Non aveva mai detto nulla a nessuno e ora si trovava con noi, con il cuore in mano, a raccontarci le cose più care. Si sentiva voluta bene. Aveva una faccia meravigliosa, non voleva più andare a dormire per stare con noi. Siamo tornati a casa in silenzio.

La mattina dopo venendo in treno in università, non ho potuto non leggere l'ultima pagina della giornata di inizio anno: «In che cosa consiste, allora, la testimonianza? Essere presenza in una situazione vuol dire esserci in modo da perturbarla, così che, se tu non ci fossi, tutti se ne accorgerebbero. Dove ci sarai, gli altri si arrabbieranno o ti ammireranno, oppure sembreranno essere indifferenti, ma non potranno non riconoscere la tua "diversità"». Come abbiamo visto quella sera, questa testimonianza, lungi dall’essere irrilevante e dal fare apparire il cristianesimo come una pagliacciata e i cristiani come clown, desta una curiosità, un interesse tale da aprire un dialogo totalmente inaspettato, anche con persone apparentemente lontane.

«L'unico motivo adeguato ed esauriente della nostra fede è che abbiamo a diventare strumento per comunicare ad altri quello che è stato dato a noi», dice la Scuola di comunità di questi giorni. Ed proprio vero, come lo è stato quel lunedì sera.

Davide, Milano