«Un gusto nuovo oltre i miei progetti»

Ultimi racconti delle vacanze invernali di Gs. Tre luoghi diversissimi: Firenze, Aprica e Alassio. Eppure lo stesso stupore. Che fa dire all'ultimo arrivato: «La fede è qualcosa di più solido del pavimento sotto i piedi»

«Occhi chiusi./ Occhi che non vedono più./ Che non sono più curiosi./ Che non si aspettano che accada più niente./ Forse perchè non credono che la bellezza esista./ Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa,/ rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio» (Pier Paolo Pasolini)
Dal 27 al 30 dicembre, noi ragazzi dell’omnicomprensivo Vico di Corsico e di altri licei milanesi e piacentini, ci siamo trovati a Firenze per verificare se è possibile riconoscere Cristo in un volto, e per accorgerci di quella bellezza che viene citata spesso da Pasolini.
Dal primo giorno, dopo esserci ritrovati davanti al duomo e dopo aver visitato il museo, immersi in tale bellezza, siamo stati colpiti dalla precisione con cui gli artisti dipinsero e scolpirono quelle opere perfette. Siamo stati toccati dal desiderio di quelle persone che, consapevoli che non avrebbero mai visto la cattedrale finita, hanno posato la prima pietra, come se l’avessero costruita per noi.
Dopo un giornata passata a visitare bellissime chiese, e a sudare per portare a casa l'attesa vittoria del gioco, la sera abbiamo ascoltato la testimonianza di Elia, giovane seminarista fiorentino. Elia ci ha insegnato che ogni cosa parte da un incontro con un volto stupito, pieno e lieto, per il quale nasce un’invidia buona, che ti fa venire voglia di seguirlo e di non accontentarsi della bellezza, ma di trovare il significato e la verità dentro di essa. E che, una volta scoperta, nasce la necessità di raccontare questa esperienza a tutti.
Tornati a casa, ci apprestiamo a ripartire con questo sguardo nuovo e lieto, alla ricerca di bellezza e significato in ogni singola circostanza.

Tommaso, Luca, Giacomo, Corsico (Milano)



Dal 2 al 5 di gennaio sono stata in vacanza studio con la mia comunità di Gs a l’Aprica. Quando sono partita ero piena di aspettative e di progetti: avevo già deciso con chi avrei studiato, con chi avrei passato le serate e come sarebbero dovuti andare quei giorni. La prima sera, però, arrivo nella sala dove tutti erano già seduti che aspettavano di cenare, e la prima cosa che vedo è un tavolo un po’ isolato con cinque primine, tra cui mia sorella, che sembrano quasi smarrite. Quasi istintivamente mi avvicino chiedendo di mangiare insieme. Mentre mi sto sedendo, però, mi rendo conto che tutti i miei amici con cui pensavo che avrei cenato erano in un tavolo poco distante. Ho avuto la consapevolezza che mi veniva posta un’alternativa: cedere a quel che avevo di fronte, anche se non corrispondeva alla mia idea, o far finta di nulla e chiudermi nei miei progetti. È stato sorprendente riconoscermi inaspettatamente felice di qualcosa che non avevo in mente io e che non avevo progettato.
Un altro esempio è stato il dialogo che ho avuto con un prof. Il penultimo giorno, a fine serata, con un gruppetto ci siamo messi a cantare. Mentre eravamo lì mi guardo attorno e vedo un prof che era seduto insieme a noi, ma non cantava. Mi sono avvicinata e gli ho messo davanti il testo della canzone, ma non è cambiato nulla. Quella sera sono andata a dormire triste, sentendomi quasi sola e senza sapere bene il perché. La mattina dopo mi sono svegliata ancora triste e non ho potuto fare altro che prendermi sul serio ed essere sincera: ero triste perché io avevo bisogno di amici per vivere con me lo studio, la cena e anche le serate e quindi avevo bisogno anche del prof. Ho sempre fatto fatica ad ammettere di aver bisogno, ma anche quel giorno ho dovuto scegliere di rispondere all’urgenza che avevo di parlare ad un prof che conoscevo appena e chiedergli di essermi amico piuttosto che vivere da spettatrice.

Valeria, Milano



Durante le sue omelie, don Luca lo diceva spesso commentando il Vangelo: «Guardate ragazzi, che la distanza tra quello che succedeva in Galilea duemila anni fa e quello che succede oggi, qui, è annientata. Succede sulle rive del Giordano, ma succede anche qui, ad Alassio».
Ragazzi di scuole diverse, ma accomunati tutti da un modo diverso di vivere ed affrontare le circostanze che la vita ti mette davanti. Proprio come hanno raccontato Giovanni e Noemi durante la prima serata. Lo studio, per Giovanni che frequenta «il sesto anno del liceo classico Zucchi a Monza», comincia ad acquistare una nuova dimensione, perché, da quando ha conosciuto l’insegnante delle ripetizioni, ha cominciato a «percepire che può esserci un gusto, proprio là dove pensavo non potesse esserci niente di interessante». Per Noemi, invece, si è trattato della scoperta, durante un periodo in cui aveva deciso di non vedere più gli amici di Gs, che il primo ad avere «nostalgia di me era proprio Gesù, mi cercava attraverso la tristezza che mi faceva provare e mi dava anche della gente che dava un senso a questa tristezza».
Ad accompagnarci, il libretto preparato appositamente. Stefano ne legge alcuni passi durante la visita a Varigotti, troppo breve causa maltempo, ma intensa perché ci ha rimandato allo sguardo che Giussani, proprio in quei luoghi, aveva descritto in alcune lettere. Come quella all’amico Angelo Majo: «Sei proprio come questo mare: immenso ed arcano, che sempre lo senti dire un suo misterioso pensiero profondo, che capisci, ma non sai ridirtelo a te stesso con parole comprensibili e determinate».
La seconda giornata inizia con le Lodi, fuori con gli occhi fissi verso il mare e il cielo. E poi: in cammino! Si va al Santuario della Madonna della Guardia, due ore di strada tra gli aranceti. All’arrivo ci attende don Enrico, che durante l’omelia dice: «Vale la pena vivere se si vive la questione fondamentale della vita, cioè se c’è qualcosa di grande per la quale vale la pena spendere le proprie giornate». Tutta la bellezza scorta durante il cammino, i profumi e gli odori, gli scorci di mare e la bellezza dei borghi attraversati, ci riportano alle parole di Giussani, nella biografia di Alberto Savorana: «Una sera non c’era la luna, ma c’era un cielo assolutamente limpido, carico di stelle. Proprio sul voltare della strada ho visto, come nessuno di voi ha mai visto, (…) il ponte sul mare fatto dalla Via Lattea. Allora ho pensato: "È proprio vero che c’è il centuplo quaggiù. Chi sa osservare il mare fino a questo punto? Chi sa osservare le cose fino a questo punto?"».
Per accompagnarci al motivo per cui vale la pena vivere, ecco un altro incontro inaspettato: quello con Ziba, citato nella lettera di Andrea nel testo di Giussani, Riconoscere Cristo. All’inizio della sua testimonianza, chiarisce subito che per Andrea, suo amico malato di Aids, la scoperta che la propria vita «ha un sussulto di senso e significato che spazza via i pensieri cattivi e i dolori, anzi li abbraccia e rende veri rendendo il mio corpo larvoso e putrido segno della Sua presenza», avviene in una modalità totalmente umana, in un’amicizia che inizia tra i banchi di scuola, e che trova il suo compimento nel letto dell’ospedale che ha portato Andrea verso il suo destino. Proprio come dice lui stesso nella lettera: «Quando Ziba recitava l’Angelus davanti a me che gli bestemmiavo in faccia, lo odiavo e gli dicevo che era un codardo, perché l’unica cosa che sapeva fare era dire quelle stupide preghiere davanti a me. Ora, quando balbettando tento di dirlo con lui, capisco che il codardo ero io, perché non vedevo neppure a un palmo dal naso la verità che mi stava di fronte».
Terzo giorno. Sveglia presto, la meta è lontana: l’isola di Saint-Honorat. Lorenzo, quinto anno dell’Istituto d’arte, ci introduce alla visita. Padre Pier Maria, con una semplicità disarmante dice: «Ognuno di voi deve capire per cosa è fatto, non potete scappare da questa domanda». Il silenzio dopo racconta del sentimento provato da tutti. L’isola, con la sua bellezza, si presta ad offrire un palcoscenico naturale per la penultima tappa del gioco della vacanza: quattro squadre corrispondenti a quattro grandi pittori (Goya, Van Gogh, Caravaggio, Friedrich), sono chiamate a rappresentare scorci del paesaggio dell’isola-monastero utilizzando lo stile dell’artista di riferimento. Risultato: quattro capolavori!
Ultimo giorno passato a studiare, a pregare, a pranzare con gli amici vecchi e nuovi e a raccontarsi. Luca, per la prima volta ad una vacanza di Gs: «Tutto quello che abbiamo vissuto insieme, sentito, fatto, la vostra accoglienza, perché prima della vacanza conoscevo soltanto il mio compagno di classe che mi ha invitato, mi ha fatto capire che la fede - io sono credente, ma non pratico - è qualcosa di più solido del pavimento su cui poggio i piedi».

Mario, Monza