La consegna del "pacco".

Quando a tavola si siede un popolo

Alla cena dei Banchi di Solidarietà, 370 persone insieme con grande libertà: dalla donna che per la prima volta porta il pacco, all'operaio rumeno in cerca di lavoro. Eccone un racconto

Cari amici,
questa non è una lettera breve e mi scuso subito per questo, ma il gesto della cena di sabato scorso è stato così ricco che sarebbe un peccato non trattenerne il significato. Eravamo seduti a tavola in 370 persone, altre 40 erano presenti per la cucina, la preparazione e il servizio in tavola. Più tanti amici che sono passati a salutarci.
Tornando indietro forse cambieremmo qualcosa del programma: magari si poteva cantare di più o che altro... Ogni anno si cerca di migliorare.
Ma non è questa la cosa più importante. La cosa più bella è quella che tanti alla fine hanno descritto la serata così: «Era una cena tra amici, non tra persone che portano il pacco e persone che lo ricevono».
Questo ha permesso che il significato del gesto della caritativa, e quella passione gratuita al destino mio e dell’altro, lasciassero il segno in molti dei presenti.
Domenica, ad esempio, ho ricevuto questa mail da Rosella: «Volevo ringraziare per il gesto di ieri sera così semplice e bello, il mio cuore è nuovamente stupito e di nuovo negli "interstizi dei miei calcoli" più o meno sensati è apparsa la convenienza della nostra esperienza per me e per le persone invitate, per cui tante volte sembra che la nostra amicizia possa dire poco o fare quasi nulla. Grazie per come avete preparato tutto, grazie per le semplici cose dette, grazie per la testimonianza di Alfredo. Carla, la mamma della "nostra" famiglia, era proprio commossa e diceva: "Quando mi sarò un po' sistemata anch'io voglio aiutarvi a fare questo"; e poi chiedeva: "Ma questo prete (di cui parlava Alfredo) chi è, come conoscerlo?"; e poi ancora: "Come vorrei che anche i miei bambini diventassero come questi ragazzi (i camerieri)". È proprio diventato chiaro che ciò che viene donato a noi, l'amicizia di Gesù, è per tutti, e tutto e tutti ci sono donati per riconoscerLo».
Questa cosa è stata così evidente che anche altre persone mi hanno raccontato episodi come questo, cioè che, ascoltando le parole di Minucci che raccontava dell’incontro con don Giussani che gli ha cambiato la vita, alcuni a un certo punto hanno detto: «Ma chi è questo don Giussani? Possiamo conoscerlo anche noi?». Anche Ian mi ha detto che una persona è stata testimone della stessa reazione, con una variante comica: non aveva sentito benissimo le parole di Minucci, e così ha chiesto se poteva conoscere anche lui «John Giussani» invece che «don Giussani».
Dobbiamo ringraziare Alfredo Minucci che ci ha aiutato a “dire” il senso di quello che facciamo e di quella stessa cena. Mi hanno detto anche che mentre lui cantava le canzoni napoletane, uno dei nostri invitati ha chiamato con il cellulare la moglie (che sarebbe dovuta venire alla cena, ma non ha potuto) per farle sentire le canzoni avvicinando il telefono alle casse e dicendo: «Senti un po’ qui cosa sta succedendo…» ed è stato lì per tutta la canzone. Qualcun altro ha anche detto «È stata una serata così bella che per un po’ di ore non ho sentito il peso di tutti i problemi che mi assillano». Giuseppe e Antonella hanno raccontato di una signora che gli diceva: «L’ultima volta che sono stata fuori a cena è stato 10 anni fa…».
Quanto è bello vedere le persone che conosciamo da più tempo abbracciare e salutare tanti di noi che hanno portato loro il pacco. Si vedeva che molti erano a casa loro. Tiziana ha scritto: «La serata è stata molto bella, bello ritrovarsi tutti insieme. Ormai ci conosciamo. Un piacevole ritrovarsi nel gusto della condivisione e dell'affezione. Con i nostri ospiti tanto eleganti che era difficile distinguere chi porta il pacco da chi lo riceve, lì capisci quanto ci tengono a questo stare insieme. Per la prima volta è venuta Clara, una mia collega che da questo mese è in pensione, e ha deciso di iniziare a portare il pacco. Era molto commossa, ha detto che dai racconti che le facevo si era fatta l'idea che la nostra opera fosse bella e utile, ma non s'immaginava la bellezza che ha visto. "L'accoglienza e la profonda familiarità che ho visto mi hanno emozionata a tal punto che ho pensato quanti anni ho perso a non seguirti prima nella tua proposta. L'ho detto e continuo a dirlo a tutti, a mio figlio, agli amici, che ho partecipato a una cosa grande. La gente non sa di questo bene che esiste. Ho capito che il pacco è un inizio, ma poi le famiglie è come se fossero adottate da voi. Mi ha colpito al nostro tavolo la naturalezza nello stare insieme, quel contatto fisico che esprime una grande familiarità. È come dire a ognuno: 'Non sei solo!'." Sono commossa anche dalla disponibilità degli amici che hanno offerto beni e tempo».
Ecco cosa mi ha raccontato Alberto: «Tony il rumeno (detto Adrian) è arrivato alla serata molto abbattuto: il suo capocantiere gli sta facendo capire che non ci sono più appalti su cui lavorare e che molto probabilmente dovrà lasciare a casa tutti gli operai da settimana prossima, lui compreso. Durante la serata ho cercato di consolarlo assicurandogli che in breve tempo avremmo potuto trovargli un altro lavoro. Ha trascorso la cena piuttosto silenzioso e schivo, poi d'un tratto mi ha domandato chi avesse pagato il cibo preparato a cena, se i camerieri erano retribuiti, se i cuochi erano pagati e quanto, chi avesse messo i soldi, chi si sarebbe occupato dello sgombero... Ascoltate le mie risposte (cibo in gran parte donato, camerieri per lo più gratis, prezzo maggiorato per noi che facciamo la caritativa, ecc.) e di fronte a tanta gratuità subito mi ha detto: "Se tu ti fermi a mettere a posto io mi fermo con te". La cosa colpisce perché non è scontato che un uomo, sull'orlo di ritornare ad essere disoccupato, abbia voglia di uscire a cena, festeggiare e cantare, fermarsi a lavorare da mezzanotte alle due».
Prendo ancora una mail che mi ha scritto Tiziana qualche giorno prima della cena: «Caro Davide, ho in mano mille euro offerti dalla mia amica che tu conosci. 500 sono suoi e 500 li ha chiesti a suo padre per la nostra cena di sabato. Ero un po' a disagio a richiederli di nuovo quest'anno, ma sollecitata da Marco che mi ha presentato la situazione finanziaria della cena molto problematica, ho osato. Poi ho trovato, attraverso un amico, il noleggio gratuito di tutto il tovagliato e in regalo sei chili di parmigiano. Nel cercare il carré di agnello a buon prezzo per la cena, il macellaio di un'amica ci ha regalato 30 polli che ho portato prontamente venerdì scorso alla distribuzione dei pacchi. La Provvidenza è molto di più della nostra misura; ha solo bisogno di attenti segretari che raccolgano i frutti della generosità che c'è».
Queste testimonianze dicono che questa cena è stata una cosa grande che ha coinvolto un popolo. Un popolo che così costruisce un pezzo di mondo nuovo. Quale popolo? Tutti quelli che portano il pacco; chi partecipa alle “famiglie solidali” e sabato ha potuto incontrare e conoscere alcune delle persone a cui vanno i generi alimentari che ci donano; i camerieri del "Camp de Cent Pertich" coinvolti da Luca; gente che ci conosce appena e che ha dato una mano (e qualcuno alla fine ha chiesto di poter iniziare a fare caritativa); gli amici di Ian che non fanno caritativa e che non si sono tirati indietro di fronte a una richiesta di dare una mano; quelli che hanno lavato i piatti; chi ha regalato le mozzarelle di bufala; chi ha prestato le tovaglie e i tovaglioli; i ragazzi dell’Impresa; chi ha regalato il carré di agnello; chi non ha partecipato alla serata ma ci ha dato soldi (chi 1.000 euro, chi 100…. Due bambini di dieci e dodici anni hanno dato 50 euro a testa prendendoli dalle mance di Natale…).
Un popolo di cui i nostri amici cui portiamo il pacco fanno parte a pieno titolo, dentro un abbraccio reale di destini che si intrecciano e non si mollano più. Mi ha commosso vedere come Antonia, cui adesso io porto il pacco, ha salutato Nicola che il pacco glielo portava qualche anno fa: gli ha fatto una festa tale che sembrava dirgli: «Io e te siamo amici per sempre».
La vita è fatta per cose grandi. La serata di sabato è stata proprio così.
Io credo sia stato evidente quello a cui ci richiama don Carrón, cioè che la carità nasce da una sovrabbondanza di ciò che abbiamo ricevuto. Questa sovrabbondanza era evidente, e si è posta con chiarezza ai nostri occhi ed è venuta alle labbra di chi ha provato a raccontare questa nostra storia (Wanda ha detto a una persona che ha conosciuto sabato sera: «Se non ci fossero stati questi amici non so cosa sarebbe stato della mia vita»).
La bellezza della serata di sabato non ci rende orgogliosi: nessuno di noi ha fatto quella serata nessuno di noi ha fatto da solo quella serata. Nessuno se ne può attribuire il merito. Possiamo solo riconoscere e amare ancora di più quella Presenza di cui abbiamo sperimentato quella sovrabbondanza, tanto da arrivare a toccare anche altre persone («Ma ci potete far conoscere questo John Giussani?»). E la storia della caritativa, di questa passione per il destino nostro e dell’altro, riprende con un respiro nuovo e una consapevolezza ancora più profonda.
Davide, Milano