Chicchi e i suoi amici durante la maratona.

La corsa al centuplo

La maratona di Milano in carrozzina grazie agli amici. Cristina, malata di Sla dal 2011, può "parlare" solo attraverso gli occhi: «Il mio valore è nel fatto che esisto. Proprio ora, come sono». Qui racconta cosa la fa «vivere alla grande»

Il 3 Aprile ho “corso” la maratona di Milano.
Sono Cristina (Chicchi) e dal 2011 sono ammalata di Sla, malattia che mi costringe sulla carrozzina, impossibilitata nei movimenti e nel parlare, ma che, grazie a Dio, non mi ha tolto il sorriso e gli occhi, con i quali comunico tutta la mia voglia di vivere. Riesco a scrivere grazie ad un puntatore ottico.
In questi anni la grande Compagnia, che ci abbraccia, e la fede in Cristo, che ci sostiene, hanno permesso a me e al mio straordinario marito Guglielmo (Guly) di vivere alla grande, anche se la circostanza poteva dire il contrario.

Straordinario marito, in quanto dono di Dio: il mio “sì” a lui era avvenuto in seguito a degli Esercizi della Fraternità, nei quali avevi sottolineato il fatto che Cristo doveva essere criterio di giudizio per tutto; per me era un criterio valido quasi per tutto, ma nella sfera sentimentale dovevo mettere la mia misura. Quando ho applicato Cristo anche all’aspetto affettivo ho avuto il centuplo!

Dopo la diagnosi della malattia la mia vita è cambiata drammaticamente, da ingegnere, manager in una multinazionale, a essere praticamente immobile. Devo ammettere, comunque, che sono sempre stata relativamente fortunata con chi ho incontrato: considerata prima come persona e poi come ammalata, e quindi con tutti i miei desideri, i miei sentimenti, il mio amore e la mia ragione. Il mio valore non sta in quello che posso fare ma è nel fatto che esisto, esisto proprio ora, come sono, in queste cattive condizioni di salute, amata da mio marito, dai nostri stupendi genitori, fratelli, sorelle, parenti e amici della comunità e della Fraternità.

Siamo stati in America a raccontare la nostra vita, ad un congresso medico; mi hanno portata a sciare; mi hanno costruito una piscina, per fare idroterapia, nella quale riesco a fare movimenti che la malattia mi ha ormai bloccato; mi hanno portata a fare la Macerata-Loreto, il giugno scorso, in una nottata di Grazia indimenticabile; per arrivare a settembre con la Maratona del Lago di Varese e il 3 aprile a Milano. Il tutto è stato la verifica di come il buon Dio continuamente ci dona la forza, e di come lo stare a quello che Lui ci chiede è la cosa migliore per noi e per chi ci sta vicino o ci incontra.

L’idea della maratona nasce da due desideri. Il primo di un amico maratoneta a conoscenza del fatto che io, nel 2007, avevo corso la maratona di New York. A lui sarebbe piaciuto portarmi nella parte finale, all’arrivo della maratona di Varese, che avrebbe corso per me. Il secondo, il desiderio del fratello di Guly che, avendomi vista sciare con una slitta speciale (io amavo tantissimo sciare), ha pensato che mi sarebbe piaciuto anche correre e pertanto si poteva farmi fare qualcosa.

Da lì è successo di tutto, mio cognato e due amici hanno costruito una carrozzina speciale, e sotto l’organizzazione impeccabile della sorella maratoneta di Guly, che più volte aveva corso per me, un mondo si è messo a disposizione per concretizzare questa idea, parenti, amici, e soprattutto i miei amici di università, gli Amici di Zaccheo. A partire dall’esperienza dello studio in università, abbiamo continuato fino ad ora a sostenerci vicendevolmente, nel verificare la bellezza della fede in ogni ambito della vita.

In questi anni mi sono sempre stati vicini al punto che, ormai diventati tantissimi, con nuovi amici incontrati e la Grazia di tanti bimbi, a Natale vengono a farci gli auguri nel nostro paese, Gavirate, per condividere il momento con me. Questa cosa ci ha sempre commosso, ma dice del metodo bello e semplice della nostra Compagnia di starci vicino.

Sono tantissime le persone che ci stanno accanto e soprattutto pregano per la mia guarigione, e, come per la maratona, si offrono per sostenere un po’ della fatica che ci è chiesta. Tanto che al termine della maratona, anche se stremati dalla fatica, non avremmo potuto finire meglio se non cantando il Non nobis. Anche questo è impressionante: in questo aiuto, in questa modalità di stare insieme, c’è il senso della fatica chiesta.

Non si dice sì perché si è forti, ma perché, grazie all’educazione ricevuta, sperimenti il centuplo nel dire sì a Gesù in forza anche di chi ti è messo a fianco.


Chicchi e Guly, Gavirate (Varese)