Degli scatoloni con il cibo raccolto per la Giornata nazionale della Colletta alimentare.

Quando il groviglio si scioglie

L'attesa della raccolta alimentare, la tristezza dei giorni precedenti, la voglia di non andarci. Ma il 26 novembre, alle 7.30 è con gli altri volontari a recitare l'Angelus. La testimonianza di una di loro: «Adesso, in questo istante, io sono felice»

Il 26 novembre è il giorno della Colletta. Quest'anno per me è iniziata prima: inconsapevolmente, avevo cominciato ad attenderla.

Dopo la giornata d'inizio anno, Giorgio, un mio amico, mentre stiamo camminando di ritorno dalla Basilica del Santo di Padova, mi dice di non aver intenzione di fare la Colletta: «Sono un po' stanco, ho la responsabilità di un supermercato intero e organizzare tutto è difficile: quest'anno no, proprio no!». Io gli rispondo che invece, nella mia piccola città, in tanti si stavano muovendo per questo gesto, e che io lo avrei fatto con i miei alunni. Lui accenna qualche parola di risposta, ma la discussione termina quasi subito. A pochi giorni dalla Colletta però, la foto del profilo Facebook di Giorgio cambia: compare il logo della Colletta e, con un messaggio, Giorgio spiega di aver cambiato idea e di aver avuto il compito di gestire lo stesso supermercato degli anni precedenti.

Poco prima del 26 novembre, ancora nessun volontario. «L'imprevisto è l'unica speranza», gli dico. E questo imprevisto comprendeva anche me: sarei andata io a fare un turno da lui.

Passano i giorni e la Colletta si avvicina. Nei giorni immediatamente precedenti, vengo presa dalla stanchezza e da una tristezza inaspettata: non riuscivo a dare un nome a questa tristezza, né a definirne i contorni, riuscivo solo a rendermi conto del fatto che c'era. Mi riscoprivo triste, incapace di guardare quello che mi accadeva. Come se non bastasse, il fine settimana della Colletta rimango da sola: mio marito ha un impegno di lavoro e rimane fuori Milano per tutto il weekend. E per di più diluvia.

Nel mezzo di questo mio groviglio di difficoltà, arriva una mail di Giorgio con le indicazioni stradali per raggiungere il suo supermercato. Gli rispondo che per me sarebbe andato bene: «Se non ci sarà nebbia verrò a coprire una parte del turno». Mi dice di non preoccuparmi, che i volontari ci sono, i turni sono coperti. Tra me e me penso allora di poter usare questo come scusa per restare a casa: avrei risparmiato un viaggio, e in fin dei conti nel pomeriggio avrei fatto la Colletta con i miei alunni, nel supermercato dietro la scuola.

La mattina della Colletta mi sveglio addirittura prima del solito, e subito mi organizzo per arrivare al supermercato di Giorgio, senza nemmeno avere il navigatore in auto. Non posso rimanere a casa: non posso, perché non è questo ciò che il mio cuore desidera. Non è il divano o il riposo; il mio cuore desidera fare la Colletta. Il mio bisogno è quello di mettermi in gioco con la pettorina gialla, nonostante la faccia stanca, i capelli trasandati e le parole che si inceppano. Alle 7.30 sono in piazza a cantare Il Seme e a recitare l'Angelus con gli altri volontari. Non piove più, non c'è nemmeno la nebbia.

Arrivo a destinazione senza intoppi e il primo regalo che mi trovo davanti è proprio la faccia di Giorgio, che con occhi sgranati mi dice: «Ma sei già qui?». Il supermercato ha appena aperto, non mi sono nemmeno accorta che sono solo le 8.30, anzi in macchina ho cantato tutto il tempo.

Sono lì con gente che non conosco, colleghi e amici di Giorgio, ma il mio groviglio si scioglie e divento contenta. Fermo la gente, propongo il gesto. E ringrazio anche chi non aderisce, augurando buona giornata.

Accanto a noi, vicino all'entrata del supermercato, c'è anche una ragazza che promuove la raccolta punti del negozio. Si perde a guardarci, meravigliata, tanto che per un po' non distribuisce più i suoi volantini, non riesce a fermare la gente perché per quanto è presa da noi. Scambio due parole con lei. È rumena e vive in Italia da dieci anni. Ci chiede se siamo volontari e dove vada tutta la merce che riusciamo a raccogliere. Le racconto del Banco alimentare e del pacco che io stessa porto una volta al mese ad una signora. Le dico di portare pazienza, che la Colletta sarebbe durata solo un giorno: ancora qualche ora e non avremmo intralciato più il suo lavoro. «Non importa, il vostro lavoro è più importante perché è più bello. La raccolta punti può aspettare».

Devo tornare a casa, saluto Giorgio. Lui mi dice di andare piano in macchina e, con semplicità, mi ringrazia. In auto mi chiedo: «Perché sono venuta qui? Perché ne ho bisogno per essere felice. È quello che il mio cuore desidera per non essere schiacciato dalla tristezza. Posso dirlo con sicurezza perché lo sto provando ora: adesso, in questo istante, io sono felice». Guidando, sbaglio uscita della tangenziale, e allungo anche di qualche kilometro. Ma non importa. Esce pure il sole.

Monica, Milano