I ragazzi al centro astronomico Gal Hassin.

Anche le stelle si fermarono a guardare

La giornata d'inizio anno di trecento ragazzi delle medie. L'amicizia con la dottoressa del centro astronomico, poi il racconto di Mustafà, che un anno fa sbarcava a Lampedusa. Una giornata che fa venir voglia di «affacciarsi dal balcone»

«Dottoressa Masiero, cosa centra lo studio con lo stupore? Può essere lo studio un "affacciarsi al balcone"?». Avevo avuto addosso questa domanda tutta la notte, insieme alla febbre. Non so cosa avesse inciso di più nel non farmi dormire... la febbre, la domanda o la preoccupazione per trecento ragazzi delle medie e amici adulti da tutta la Sicilia che avrebbero raggiunto, con l’arrivo inesorabile del giorno, Isnello, un paesino dei monti Madoniti che conta 1500 abitanti, per vivere insieme la “nostra” giornata d'inizio anno dal titolo “...ma Tu hai preferito me”.

Avevo pensato a quel gesto per settimane, preparandolo minuziosamente insieme ad altri amici. Ma era toccato a me, per vicinanza territoriale, visitare il luogo e incontrare persone fino ad allora sconosciute. Fra queste la dottoressa Masiero, astrofisica padovana, ricercatrice dell’Inaf e membro del GAPS team, che si occupa della ricerca dei pianeti extrasolari in Italia grazie al TNG (Telescopio Nazionale Galileo delle Canarie) e che da un paio di anni collabora alla vita del Centro Internazionale delle Scienze Astronomiche Gal Hassin di Isnello.

«Tutto è pronto. Eppure, pensando alla proposta della giornata, sento le vertigini. Il desiderio di comunicarlo ai ragazzi è leale ma corruttibile come tutto di me. Come comunicarlo se non nella chiarezza della dinamica di ciò che accadrà domani? Nulla abbiamo se non questa preferenza che non ha ragioni se non nella Sua misericordia», così scrivevo ai miei amici adulti la sera prima.

E poi eccomi là a Gal Hassin con lei, una astrofisica che, dato il ritardo con cui siamo arrivati, mi invita a sospendere i canti e a cominciare, perché ci sono altri gruppi in visita che la attendono. Io mi ritrovo a invitarla a fermarsi ancora per rispondere alla “mia” domanda: «Può essere lo studio un affacciarsi al balcone?». Lei ha un improvviso moto di commozione che vedo tutto nel suo volto, non più formale ma amicale, quasi familiare. Una simpatia improvvisa e inesorabile per la mia persona e per quei trecento ragazzi che hanno invaso il Centro Astronomico. Mi chiede il mio nome, mi dice il suo e improvvisamente mi dà del tu. Con fatica, come accade sempre quando qualcosa di nuovo sta emergendo dalle nostre viscere, mi dice: «Sì, credo di sì, perché a pensarci bene a me è accaduto proprio così!». Quanto avevo desiderato che accadesse nei nostri precedenti incontri. Quanto avrei voluto superare quella “cortese distanza” che lei aveva sempre mantenuto quando, nel preparare il gesto, l’avevo più volte incontrata e sollecitata a condividere il contenuto della “conferenza”.

Io non oso aggiungere nulla e attendo. Si fa avanti lei e mi dice: «Se vuoi racconto ai ragazzi come ho scoperto la passione per ciò che studio». Non so cosa dirà ma ho l’impressione che, per quella simpatia che ho visto nel suo volto, valga la pena ascoltarla. «Avevo nove anni quando una sera, affacciandomi al balcone, ho visto le stelle come mai mi era accaduto. Sono rientrata di corsa e ho detto a mio padre che quelle stelle io le avrei toccate. Mio padre sorrise. Ricordo di aver atteso con ansia l’arrivo dell’estate perché avrei raggiunto mio nonno che aveva un grande “scalone”. Ero sicura che se fossi salita su quello “scalone” le stelle le avrei potute toccare. Arrivata l’estate, ricordo la sera in cui spuntarono le stelle e di come provai a spingere fuori lo scalone. Poi della fatica che me lo impedì. Solo dopo anni avrei capito che quella fatica era la forza di gravità che stavo studiando e che era una cosa assolutamente concreta».

Sabrina procede nel suo racconto. I ragazzi sono tutti attratti dalla sua presenza, dall’esperienza presente che comunica loro. Parla di suo nonno e di quanto sia importante essere sempre sotto lo sguardo di qualcuno che ti ama perché ci sei. Dice di lui come di un maestro per come la guardava, per come guardava alla vita, anche se poi non credeva che l’uomo fosse veramente andato sulla luna, cosa che la faceva indispettire.

Fra gli applausi dei ragazzi si avvia a recuperare i gruppi in attesa. Ma si ferma. È un fiume in piena. Mi confida che non le era mai capitato di raccontare di lei e dei suoi sogni. Forse perché si era dimenticata di quella sera in cui e per cui cominciò tutto. Aggiunge: «E poi parlare di mio nonno... non me l'aspettavo. Sono trentun anni che è morto e non riesco a pensare a lui senza che mi venga un nodo in gola. Ma quando vi ho visti là coi ragazzi... mi è venuto naturale! Chi lo avrebbe mai detto che alla prima visita per noi così importante all’osservatorio, visto che siete in trecento, mi sarebbe scoppiato questo desiderio di dire di me, di quel primo istante e di mio nonno. Mah». Mi abbraccia e mi invita a rincontrarci ancora, perché vuole capire da dove prendiamo tutto quell’entusiasmo e forza interiore, usa proprio queste parole. «Sarà la vicinanza dell’Etna? Me lo dovrai spiegare appena ci rincontriamo!».

Nel pomeriggio uno dei nostri ragazzi, Mustafà, racconta a tutti che proprio in questi giorni, un anno fa, sbarcava a Lampedusa. I ragazzi lo tempestano di domande: «Perché sei venuto in Italia? Non avevi paura?». Lui risponde a tutti con grande attenzione (per come la lingua gli permette) e dice che è venuto da solo, senza la sua famiglia, perché in Somalia non c’è futuro. Aggiunge che per arrivare in Libia ha attraversato quattro Stati. Che molti furono i pericoli che ha dovuto affrontare. Che ha sempre avuto paura. Racconta dell’incontro con i ragazzi di GS che, dopo il suo arrivo in comunità e la gioia di poter frequentare la scuola, lo hanno aiutato a fare i compiti e ad imparare la lingua. Racconta come a poco a poco hanno cominciato a stare con lui e di come la vita cambia quando si incontrano amici che ti dicono: «Andiamo».

Uno dei ragazzi chiede: «Ma che vuol dire? Io penso ci possa essere di più di “amici andiamo”». Lui riprende e racconta dell’esperienza delle vacanze a Prati di Tivo con gli amici di GS. Le passeggiate, i canti, il mangiare insieme, il guardare le stelle. Poi spiega che in Somalia c’è un modo di dire rispetto agli amici: ci sono gli amici “ciao”, gli amici “come stai” e gli “amici andiamo”. Gli amici “ciao” sono quelli con cui hai un rapporto superficiale. Gli amici “come stai” sono quelli che conoscono il tuo nome, sanno molto di te e ti chiedono come stai. Ma solo gli amici “andiamo” sono amici veri o, come si dice in Somalia, amici grandi, perché ti dicono: «Andiamo!». È al cuore che lo dicono! E te ne accorgi subito perché, come dice la canzone che ha imparato in vacanza, «Oh mondo, soltanto adesso io ti guardo». Io non ho più paura.

Ad Isnello, il paese del Gal Hassim, anche le stelle si sono fermate a guardare Uno che risponde ed esalta il desiderio! E la vita diventa una roba che ti fa venir voglia di affacciarti al balcone per vedere cosa accadrà oggi, come accadrà oggi! O meglio, come ha detto una nostra amica, una Grazia di giornata!

Maria Concetta, Termini Imerese (Palermo)