Il panico, le quattro frecce e la nostalgia di Lui

Al termine di una giornata di lavoro Alga sale in macchina per tornare a casa. Ma viene presa da un senso di vuoto e paura. Fino a fermarsi sul ciglio della strada, per rendersi conto che...

Cari amici,
l’altra sera... macché l’altra sera, in verità ricordo benissimo quando è accaduto: mercoledì scorso, erano circa le 18.45 e io finivo una giornata di lavoro, con riunione pomeridiana lunga e impegnativa. Dopo quattro battute divertenti coi colleghi, sono salita in macchina e ho preso la via del ritorno. Stavo bene, ero soddisfatta, mi mancava di arrivare a casa e finire un giorno tutto sommato buono. Finalmente mi ritrovavo sola! D’improvviso mi sono accorta che c’era qualcosa che mi disturbava, ho cominciato a sentirmi inquieta: Haiti, il terremoto, un amico in ospedale... Non tutto andava poi così bene. Quello che era successo ad altri mi sembrava così assurdo: quella povera gente che da un momento all’altro si è vista crollare addosso il mondo e quel mio amico in ospedale... Ricordavo il suo intervento alla Scuola di comunità: giovedì era lì, stava bene, e poi la domenica... Dio mio! Che cos’è mai questa vita, così assurdamente appesa a un filo?
Un senso di vuoto ha cominciato a portarsi via tutti i miei pensieri. Ho accelerato perché non vedevo l’ora di arrivare a casa: lì avevo le mie cose da fare, la cena, le ragazze, mio marito, la tele, la cucina, i piatti da riordinare... Quel senso di soffocamento che mi stava prendendo sarebbe subito scomparso, non appena avessi messo piede in casa. Ho acceso il lettore cd: ci voleva un po’ di musica. Elvis (che scema sono talvolta!) solleva dai cattivi pensieri, ma mercoledì sera non funzionava. Non funzionava. La mia mente continuava a viaggiare: «Tutto passa così velocemente: tutto quello che oggi ho, tutto quello da cui faccio dipendere la mia serenità, potrebbe essere spazzato via in un soffio». Ero delusa. Mi dicevo: «Tanti anni di movimento, la Scuola di comunità alla quale ho cercato di essere fedele... ma come è possibile?». Da dove veniva quel senso di vuoto? Quella paura della precarietà della vita? Quella insostenibile tristezza? Mi sono fermata sul ciglio della strada e ho messo le quattro frecce. Mi sentivo soffocare e intanto pensavo: «Sta’ calma! È un attacco di panico». «Signore aiutami, perché vedi come sono vuota!», continuavo a ripetere.
A poco a poco la paura è passata. Mi si chiariva nella mente che, se da quella grande vertigine era nato il bisogno di Lui, forse non era poi così vero che la mia vita poggiava sul vuoto. L’ho ringraziato per tutte le Scuole di comunità fatte insieme, che tenevano acceso il mio bisogno e inquieto il mio cuore. Chissà perché, quella sera, Cristo aveva deciso di entrare nella mia giornata in modo così strano.
Poi, più tardi, rileggendo la lettera di don Carrón pubblicata dal Corriere della Sera alla vigilia di Natale, mi è corso un brivido per la schiena: «Nell’uomo vi è un’inestinguibile aspirazione nostalgica verso l’infinito... Disagio, insoddisfazione, tristezza, noia non sono sintomi di una malattia su cui intervenire coi farmaci, come accade sempre più spesso in una società che confonde l’inquietudine del cuore col panico e con l’ansia. Sono piuttosto segni di quale sia la natura dell’io. Il nostro desiderio è più grande di tutto l’universo». Io quel mercoledì l’ho provato sulla mia pelle: c’è sempre qualcosa che ci sfugge e (grazie a Dio!) ci sorprende.
Alga, Bergamo