Quartieri di Damasco distrutti dalla guerra.

La fede che «ci serve più di tutto»

Souleiman è un medico di Damasco. All'inizio della guerra si era trasferito in Russia, dove ha conosciuto la comunità di CL. Dopo cinque anni ha deciso di tornare a casa. Ecco il suo racconto

È ormai un mese che sono tornato a Damasco, e proverò a descrivere la mia vita in questa città. Vorrei dire la nostra vita, la nostra vita unita in Dio. All’inizio ero molto impaurito, avevo di fronte tante sfide, dovevo affrontare molti pericoli. Da un lato dovevo preoccuparmi della salvezza mia e della mia famiglia, dall’altro dovevo procurarmi l’essenziale per vivere: acqua, cibo, medicine. E così è cominciata la mia battaglia quotidiana con il male, vissuta insieme alla compagnia di Gesù.

Ogni mattina mi sveglio, apro gli occhi, e guardo all’icona di Gesù sopra il mio letto. E prima di alzarmi gli chiedo la forza dello Spirito Santo che mi permetta di trascorrere sano e salvo la giornata. Poi sveglio i bambini, li guardo e prego che anche loro possano rimanere salvi e io li possa rivedere. Mentre vanno a scuola sento il rumore dei proiettili e delle esplosioni, e in quei momenti resto immobile, il cuore batte forte, mi sento avvolto dall’oscurità. Poi, improvvisamente, vedo ancora una grande luce dall’icona di Gesù, e tutta quella terribile paura scompare, riesco a sentire davvero su di me la sua mano e la sua voce: «Non aver paura, sii forte. Io sono con te».

Esco di casa e salgo in macchina per andare in ospedale, ma c'è ancora il suono dei proiettili. Prima di partire guardo la croce appesa allo specchietto e chiedo a Cristo di custodire me e la mia famiglia. Per strada vedo gruppi di bambini che camminano verso la scuola; ridono e scherzano allegri, malgrado il suono dei proiettili, e viene da ridere anche a me con loro. La via attraversa delle zone controllate dai terroristi, e io devo passare per forza di lì. È terribilmente pericoloso, ma la croce che dondola e risplende davanti agli occhi mi dà forza e speranza. A volte mi tornano alla mente i volti delle sorelle e dei fratelli che erano con me in Russia. Le loro voci, i loro occhi che parlano, il loro sorriso sono insieme a me in quei terribili momenti, mi afferrano e mi mostrano la presenza di Gesù.

All’ospedale comincio il mio lavoro con i pazienti, cerco di offrire loro cure senza ricorrere a medicine perché non ne abbiamo abbastanza per tutti. Eppure dobbiamo aiutarli, ed è allora che cerco di parlare con loro in una lingua particolare, che ho imparato in Russia. No, non è il russo, è la lingua della vita, la lingua dell’amore, la lingua di Gesù.

Un giorno davvero faticoso, tre settimane fa, nel pomeriggio, ero a casa con la mia famiglia, e parlavo via Skype con le sorelle della casa delle Memores a Mosca. Improvvisamente abbiamo udito un boato terribile: una bomba era caduta a cinquecento metri da casa. Poi ce ne sono state ancora altre. I bambini e mia moglie avevano paura, ma abbiamo continuato a parlare con le sorelle, ed i miei figli hanno chiesto loro di mandare delle biglie. Anche se era una situazione terribile, io non avevo paura, mi sentivo al sicuro mentre conversavamo. Qualcosa mi rendeva certo che la forza della vita vince sulle bombe e sulla morte. Con mio grande stupore, dieci minuti dopo che le bombe avevano smesso di cadere, tutti i vicini hanno cominciato ad azionare le pompe per attingere acqua, perché eravamo senza da cinque giorni. Erano allegri, avevano dimenticato l’orrore delle esplosioni, e i miei bambini chiedevano le biglie!

Quando ero in Russia avevamo discusso con le sorelle e i fratelli della possibilità di trasferirmi con la famiglia in Italia. Avevo detto loro che volevo tornare in Siria, perché lì c’erano persone che mi aspettavano e che avevano bisogno di me. Una settimana fa un amico italiano mi ha chiamato per chiedermi se ero contento della mia decisione di vivere in Siria. Gli ho risposto che sono così lieto e appagato perché ho chiaro quello che mi ha fatto prendere questa decisione. Vivere qui in Siria è davvero difficile, terribile, ma quando vedo questa felicità e questa speranza negli occhi delle persone accanto a me dimentico la durezza e la fatica.

Io e i miei amici qui a Damasco cerchiamo di fare quello che possiamo per queste famiglie che hanno bisogno di aiuto, che necessitano davvero di molte cose per vivere. Incontrando gruppi di volontari, sacerdoti e suore, abbiamo parlato dei loro bisogni, e io mi sono trovato a dir loro che secondo me la cosa che ci serve di più è la nostra fede che vive, che ci fa render visibile la misericordia di Dio e la sua presenza.

Souleiman, Damasco