Una scena del film.

UNA SCONFINATA GIOVINEZZA Il filo smarrito di Lino

Paola Bergamini

Chicca insegna Filologia all’Università. Lino è un famoso giornalista sportivo al Messaggero. Lei ha alle spalle una famiglia importante con fratelli, zii e nipoti. Lui è orfano, tirato su da una zia sulle colline bolognesi e poco sopporta le riunioni della famiglia ingombrante. Vivono a Roma in una casa bellissima, piena di libri e di begli oggetti d’antiquariato. Tanti anni di matrimonio, felice, amato, un po’ ai margini di quella grande famiglia dove «tutti figliano come conigli», mentre, a loro, quel figlio sempre desiderato non è mai arrivato. Poi un giorno qualunque, mentre lavorano davanti ai computer, in quel salotto dove tutto è pacatamente in ordine, a Lino non viene una parola: “intromettersi”. Quel verbo perso, suggerito da Chicca, è il primo segnale. Di una malattia che ha un nome preciso: morbo di Alzheimer. Giorno per giorno, inesorabilmente, non sono le parole a perdersi, ma i pensieri, la realtà. Lino sprofonda indietro nel tempo alla sua fanciullezza. Come i flashback virati seppia che lo ritraggono bambino in casa della zia con il suo cane "Perché" e quei due compagni che, tra le colline cariche di nebbie e di bruna, gli rivelano un segreto. Dell’oggi c’è solo Chicca, il suo amore è l’unico filo reale. Anche se arriva a insultarla, a picchiarla, a piangere disperatamente quando lei deve lasciarlo per un breve periodo perché passi il primo stadio della malattia. Ma Chicca torna e sul parquet del corridoio del loro appartamento gioca insieme a lui con i tappi di bottiglia con appiccicati i volti dei ciclisti: Coppi, Bartali… Il Giro d’Italia. Chicca sta con lui che è diventato quel bambino che non hanno mai avuto. Chicca non lo lascia. Non per eroismo, ma come le aveva detto quel collega nelle sue stesse condizioni con la moglie: «Un’altra vita non sarebbe possibile». Lino lascia Roma e torna nelle colline della sua infanzia per rintracciare quei due amici perché sono in grado, con il loro segreto, di aiutarlo. Ma cerca dei bambini che non ci sono più, e quel segreto era una burla. Lui non capisce e si perde tra la nebbia delle colline bolognesi. Dove si è fermata la sua mente. Nessuno riesce a trovarlo. E Chicca è una mamma che ha perso il suo bambino.
Non si versa una sola lacrima a vedere l’ultimo film di Pupi Avati Una sconfinata giovinezza. Non c’è un’inquadratura che pieghi al sentimento, nemmeno lo sguardo perso di Fabrizio Bentivoglio che interpreta Lino o quello pieno di lacrime di Francesca Neri nei panni di Chicca. Ma alla fine della proiezione rimani seduto a leggere i titoli di coda. A ripensare a certe scene: l’abbraccio di Chicca a Lino ormai bambino; o la lunga inquadratura quasi deformata di ogni stanza dell’appartamento quando lei torna: tutto è come al solito al suo posto, ma niente è come prima. Tutti i segni di un dramma che però ha dentro una tenerezza che non lascia indifferenti. Il dolore c’è, ma è raccontato con dolcezza, con disincanto senza nessuna enfatizzazione. Forse per questo ferisce di più. C’è il ricordo che diventa più vero della realtà: gli amici bolognesi, secondo lui, sanno ora il segreto per salvare la sua Chicca, che è la sua vita. E l’amore, la vita amata ferisce sempre. È ciò che sopravvive, anzi vive, all’Alzheimer, che altera la personalità, che distrugge la mente, ma questo legame non riesce a romperlo.

Una sconfinata giovinezza
di Pupi Avati
con Fabrizio Bentivoglio, Francesca Neri, Serena Grandi, Gianni Cavina