Claude Monet, "Alba", 1873 (Wikimedia Commons)

Chi interroga il dolore

«Se i giovani abbracciano domande che gli adulti scansano». Un contributo di don Massimo Granieri, critico musicale e scrittore, e Franco Nembrini da "L'Osservatore Romano" del 27 aprile
Massimo Granieri e Franco Nembrini

MASSIMO GRANIERI Una classe di liceo è impegnata in un compito assegnato dal professore di religione. L’insegnante, don Luigi Giussani, gironzolando in aula, prende un libro poggiato su un banco. È il Disegno storico della letteratura italiana di Natalino Sapegno. Aprendolo a caso, fissa lo sguardo sulla pagina 649 dedicata alla poetica leopardiana. Dopo mezzo minuto, ordina ai ragazzi di fermarsi e legge ad alta voce alcune righe: «Le domande in cui si condensa la confusa e indiscriminata velleità riflessiva degli adolescenti, la loro primitiva e sommaria filosofia (che cosa è la vita? a che giova? quale il fine dell'universo? e perché il dolore?), quelle domande che il filosofo vero ed adulto allontana da sé come assurde…». Il docente chiede ai suoi studenti se con la loro presunzione, con tutta la volontà di autonomia leggono queste cose e le accettano senza colpo ferire, come bere un bicchiere d’acqua (cfr. L. Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, Milano 2022, p.80).

Ho proposto a scuola le domande definite “assurde” da Sapegno, imitando le intenzioni di don Luigi: incoraggiare gli studenti a cercare il senso di tutto, nonostante il tentativo degli adulti di spegnere sul nascere ogni domanda perché un significato non c’è. Lo cantano con cinismo i Baustelle nel brano Il regno dei cieli: «Il regno dei cieli è la nebbia che copre l’entità dell'assente / Ci nasconde le prove che la vita dell’uomo è poco significante / Ci protegge dal niente». Vasco Rossi nella canzone Il senso assicura invece che la risposta arriverà: «Voglio trovare un senso a questa vita / Anche se questa vita un senso non ce l’ha / Sai che cosa penso? / Che se non ha un senso / Domani arriverà lo stesso».

L’indagine è stata introdotta da una canzone dei Supertramp, The Logical Song. Il testo merita d’essere citato per intero: «Quando ero giovane, sembrava che la vita fosse davvero meravigliosa, un miracolo, era bellissima, magica. Ma poi mi mandarono via per insegnarmi ad essere ragionevole, razionale, responsabile, pragmatico. E mi mostrarono un mondo in cui avrei potuto essere così affidabile, distaccato, intellettuale, cinico. Ci sono momenti, quando il mondo è addormentato, in cui le domande corrono troppo profonde per un uomo così semplice. Ti prego, dimmi: cosa abbiamo imparato? Lo so che sembra assurdo, ma ti prego, dimmi: chi sono io? Ora stai attento a quello che dici, o ti diranno che sei radicale, fanatico, criminale. Non metti la tua firma? Vorremmo assicurarci che sei accettabile, rispettabile, presentabile, un vegetale!» (dall’album “Breakfast in America”, 1979).

Gli studenti di un istituto tecnico di Roma non capiscono perché esistiamo, condizionati dai drammi vissuti in famiglia. Quasi tutte le risposte al compito di religione terminano con una controdomanda: «Professore, perché c’è tanto dolore nelle nostre vite?». L’esperienza conferma l’acume di don Giussani: i ragazzi sono domande di senso. Hanno colto l’occasione dell’intervista per conoscere sé stessi, custodendo un silenzio surreale perfino durante la ricreazione. Erano storditi dal desiderio intravisto nelle domande. Quei ragazzi di strada abitano in periferia e nelle borgate romane, alcuni con un destino infelice già deciso da qualcun altro. Tuttavia, liberi dallo scetticismo, potranno avventurarsi nella ricerca appassionata del bene perché educati a sapere che ci sono risposte ai loro perché (cfr. L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2021, p.81).

FRANCO NEMBRINI Don Massimo ci racconta di studenti che in barba ai pregiudizi degli adulti e al cinismo che li caratterizza, rimangono storditi dal desiderio intravisto nelle grandi domande che l’insegnante ha proposto alle classi. A me pare che tutta la questione dell’emergenza educativa si risolva in questo: gli adulti che i nostri ragazzi hanno di fronte di che speranza vivono? Che cosa sostiene le loro giornate? Come sanno stare davanti al dolore e alla fatica? Voglio raccontare anch’io un fatto che mi è accaduto qualche giorno fa, quando ho letto a un gruppo di ragazzi il testo della mail che avevo appena ricevuto. Questo il fatto: venerdì 19 aprile è stata inaugurata la terza grande mostra a Verona dedicata al Paradiso di Dante, presenti il Vescovo, le autorità e molti dei ragazzi che si sono resi disponibili a fare da guida ai gruppi che andranno in visita da qui al 16 giugno. Il giorno dopo, si è presentata all’ingresso della mostra una ragazza argentina chiedendo di poter parlare con qualcuno che conoscesse la lingua spagnola. L’insegnante di turno si è offerta di darle tutte le informazioni di cui aveva bisogno, ma la ragazza le ha chiesto semplicemente di poter fare due parole con qualcuno del gruppo che aveva organizzato la mostra. Dicendo testualmente «per compartir», cioè per condividere l’esperienza che aveva vissuto. E ha cominciato a raccontare questa storia incredibile: «Due anni fa ero a Verona con mio marito in viaggio di nozze e ci siamo imbattuti per caso nella mostra Il mio Inferno ed è stata una bellissima sorpresa perché mio marito adorava Dante e la Divina Commedia, di cui è sempre stato un grande lettore. Tornati dal viaggio però è iniziato il nostro “inferno”. Gli è stato diagnosticato un cancro che nel giro di tre mesi me lo ha portato via, e così è cominciato il mio “purgatorio”. Prima di morire gli ho promesso che se aveste realizzato la mostra sul Paradiso sarei tornata in Italia per vederla anche per lui. Così ho prenotato il volo dall’Argentina per Verona e oggi, proprio oggi, a sei mesi esatti dalla morte di mio marito mi ritrovo qui, felice di essere con voi e di poter condividere questa esperienza».

Prosegue l’amica insegnante: «A quel punto l’ho stretta in un abbraccio e abbiamo pianto insieme. Sopra di noi si è aperto per un momento il cielo grigio di quella giornata e il sole ci ha riscaldate. È stato incredibile. Nel nostro abbraccio c’era anche suo marito. All’uscita dalla mostra mi ha fatto vedere la foto del marito e di lei affiancati alla statua di Dante, foto conservata con cura in una busta trasparente, insieme a una immaginetta della Vergine di Guadalupe. Ci ha ringraziati perché adesso poteva iniziare il suo percorso di ritrovata pace e serenità.

Ho pianto a lungo dopo aver ricevuto questa mail, commosso ancora una volta da uno spettacolo di coraggio, di forza, di fede. Ma ancora di più mi hanno colpito gli sguardi e i commenti dei ragazzi a cui l’ho raccontato e il loro sincero desiderio espresso più o meno da tutti con queste parole: “Anche noi vorremmo vivere così! Dove si può imparare ad amare così?”.